I robot del futuro saranno capaci di cose che l’uomo non è in grado di fare. Dalla gestione della prevenzione al ridurre i rischi psicofisici dei lavoratori.
La tecnologia moderna ha partorito i primi robot collaborativi, progettati per eseguire compiti che l’uomo non potrebbe mai svolgere perché troppo rischiosi. A Roma è possibile fare un giro tra gli stand allestiti alla Maker Faire, la più grande rassegna europea dedicata all’innovazione organizzata dalla Camera di Commercio della capitale italiana, e fare amicizia con ALterEgo, Slim, Moka e tanti altri automi.
Ce n’è per tutti i gusti: dagli avatar che aiutano il paziente colpito da una malattia infettiva a coricarsi a letto, al serpente controllato a distanza in grado di destreggiarsi in ambienti insidiosi e inaccessibili all’uomo.
Ma non è solo l’aiuto che questi robot possono dare all’uomo ad essere interessante, quanto l’interazione. I robot collaborativi prendono questo aggettivo perché sono stati progettati per comunicare con l’uomo ed essere gestiti da remoto in modo preciso. Una realtà simile l’abbiamo già vista con gli umanoidi e i dispositivi indossabili del progetto ergo Cub promosso dall’Istituto italiano di tecnologia (Iit) e dall’Inail, che è stato avviato grazie ad un investimento di circa cinque milioni di euro.
Alcuni robot nascono per aiutare l’uomo sui loghi di lavoro (prevalentemente industrie e ospedali), per rendere la prevenzione più efficiente e ridurre il rischio psicofisico dei lavoratori.
Altri aiutano l’uomo grazie al controllo a distanza, fino a diventare veri e propri avatar. Un esempio è Slim (Snake-Like robot for Inspection and Maintenance), il prototipo del robot serpente progettato per ispezionare aree pericolosi e inaccessibili all’uomo di impianti industriali e macchinari.
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E’ stato sviluppato nel laboratorio Rain (Robotic Automation and INspection lab) dell’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit). Ha una struttura fatta di giunti snodabili, che ricorda quella di un serpente. Può estendersi fino a cinque metri attraverso passaggi stretti e tortuosi, sfidando alte temperature, buio, gas o fumi tossici e radiazioni, controllato da remoto da un essere umano, mentre le due telecamere inviano le immagini, permettendo in questo modo di ispezionare anche zone altrimenti impossibili da raggiungere a un essere umano.
Ora è il turno di AlterEgo. Un umanoide alto 140 centimetri, controllato anche questo a distanza, progettato per dare assistenza in remoto evitando il rischio di contagio e per esplorare territori pericolosi come quelli colpiti da un terremoto.
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Sviluppato dall’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit) e dal Centro ‘E. Piaggio’ dell’Università di Pisa, è un robot avatar comandato a distanza con un visore e un joystick che permettono all’operatore di vedere attraverso gli occhi del robot e a utilizzarne le mani.
Ma i robot possono essere anche l’estensione di una parte sola del nostro corpo. Ne è un esempio concreto Moca (MObile Collaborative robotic Assistant), un braccio montato su quattro ruote progettato dall’Iit per aiutare fisicamente le persone a svolgere il loro lavoro in modo ergonomico e confortevole.
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