Si tratta di un dibattito ancora aperto, ma che vede un punto condiviso dalle famiglie italiane: i bambini sono sempre più sul mondo digitale che in quello reale di tutti i giorni.
Si parla di questo tema già da qualche anno e la recente pandemia non è stata certo di aiuto, ma ha anzi alimentato sempre più l’utilizzo dei dispositivi elettronici sia per lavoro che per studio.
La prima domanda che ci sorge spontanea è la seguente: “ad un bambino serve davvero uno smartphone?”. La seconda, viene da sé: “qual è l’età più adatta per introdurli nel mondo digitale?”.
Partiamo con il dire che una risposta giusta e universalmente accettabile non esiste; ma certamente ci sono delle considerazioni che è doveroso fare.
E’ già stato abbondantemente dimostrato che gli effetti collaterali sui più piccoli, sono tra i più preoccupanti:
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Esistono prove tra l’altro, che un’esposizione prolungata nel tempo, quotidiana e intensa, possa perfino raddoppiare il rischio di sviluppare un tumore del cervello (il glioma, tumore maligno) o del nervo acustico (neurinoma acustico, per fortuna benigno).
Inoltre, attraverso i media, i bambini sono sempre più esposti a scene di violenza sessuale e fisica.
Ulteriore problema che nasce dall’utilizzo dei devices è sicuramente il cyber bullismo. Da qualche anno in Italia il Ministero della Pubblica Istruzione ha approvato un progetto interistituzionale promosso su tutto il territorio nazionale che rappresenta un’azione strategica contro il fenomeno del bullismo cibernetico declinato tra i banchi di scuola.
In altre parole si tratta di una “patente dello smartphone”, un’iniziativa per rendere i futuri utenti consapevoli dei rischi e pericoli, oltre ai più immediati vantaggi generali a cui la tecnologia ci ha facilmente abituati.
Per quanto riguarda i tempi di utilizzo, spetta ai genitori decidere quando è giusto che il bambino inizi a usare la tecnologia. In media si parla di non più di un’ora al giorno per i piccoli dai tre anni e non più di due ore a 8 anni. Le ore aumentano alla crescita. Il tutto comunque sempre con la supervisione di un adulto.
Ad un età così precoce è d’obbligo da parte del genitore monitorare l’attività online dei figli. Password, parental control e geolocalizzazione sono le principali soluzioni che rendono il compito meno arduo.
Generalmente è necessario che il bambino abbia in primis un’esperienza analogica per poi mano a mano avvicinarsi al digitale.
Il digitale ci ha abituati al “tutto e subito“. Non abbiamo più pazienza e pretendiamo che le cose avvengano all’istante, con la stessa velocità di una pressione del nostro dito sullo schermo.
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Siamo in un’era in cui la noia non viene nemmeno più contemplata. I nativi digitali non sanno neppure cosa significhi annoiarsi. Ma è proprio nei momenti di niente che si attiva maggiormente il nostro sistema nervoso, l’intuizione, la creatività, la fantasia e l’immaginazione di un mondo lontano da quello preconfezionato a cui ancora ci abituano.
Il problema, non di poco conto, è che così facendo nulla nella nostra società ha più molto valore. Alla fin fine ciò che conferisce valore ad una cosa è proprio la fatica di averla raggiunta. E se non si fa fatica, tutto si affievolisce.
In un passato non così remoto, per controllare il significato di una parola dovevamo prendere l’enorme e polveroso dizionario, aprirlo senza rovinare le pagine sottili, cercare quella parola nei meandri di migliaia di sue simili, leggere il significato e appuntarlo sul nostro quaderno.
A distanza di anni, molto probabilmente ci ricorderemmo ancora di quel termine. Oggi tutto è in funzione di Google e pochi click. Questo ci porta a sviluppare un processo di atrofizzazione del pensiero, della memoria, del calcolo e ci ha dà la parvenza di essere sempre più social laddove siamo invece sempre meno sociali.
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