Amazon non ci sta: scova e smantella un sito legato all’ISIS

Amazon contro l’ISIS. Giunge dal Washington Post la notizia che l’e-commerce più famoso al mondo abbia smantellato un sito web adibito alla propaganda dello Stato islamico. 

Il Washington Post di Amazon blocca e smantella un sito ISIS di propaganda islamica – MeteoWeek.com

Il colosso americano dell’ e-commerce Amazon nella notte del 27 agosto scorso, ha smantellato un sito web utilizzato dagli estremisti che utilizzavano la tecnologia dell’azienda come strumento di propaganda dallo Stato islamico. Lo afferma il quotidiano Washington Post, periodico di proprietà di Jeff Bezos, ex CEO Amazon, ora presidente dell’azienda dopo aver ceduto l’incarico di amministratore delegato a Andy Jassy.

Il merito per la scoperta del collegamento segreto tra Amazon e gli estremisti è da attribuire a Rita Katz, direttore esecutivo di SITE Intelligence Group, che monitora l’estremismo online. Il portale del sito era ospitato dal servizio cloud dell’azienda, Amazon Web Services.

La stessa Rita Katz ha affermato che ″È incredibile come, dopo tutti questi anni, l’ISIS possa ancora trovare un modo per sfruttare una società di hosting come Amazon. Presumiamo che l’ISIS sarà sempre alla ricerca di nuovi modi per aggirare i protocolli di sicurezza, ma questa app non ha nemmeno cercato di rimanere di basso profilo. È pieno di affermazioni ufficiali dell’ISIS, media e loghi delle armi mediatiche dell’ISIS, sfacciati e chiari come il giorno. Questa app è stata chiaramente progettata per condividere online i messaggi dell’ISIS”.

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E’ risaputo che Amazon si è già dotata di politiche che vietano ai gruppi terroristici islamisti di fare uso dei suoi servizi. L’e-commerce dunque non ha fatto altro che comportarsi di conseguenza.

Ma ciò non è bastato per permettere comunque a Nida-e-Haqq, gruppo editoriale affiliato allo Stato islamico, di distribuire sul portale contenuti in lingua urdu, parlata in particolare in Pakistan, così come in alcune zone dell’Afghanistan.

Ricordiamo questo gruppo editoriale soprattutto per lo scorso 26 agosto, quando  ha reso pubblica un’immagine dell’attentatore suicida avvolto in un giubbotto esplosivo prima dell’esplosione.

Alcuni dei messaggi riguardavano lo Stato islamico del Khorasan, il ramo del gruppo terroristico che ha rivendicato l’attacco di Kabul.

La diffusione di informazioni e contenuti è stata resa possibile grazie ad un app degli islamisti che, secondo il Washington Post, era ospitata da Amazon Web Services almeno da aprile.

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Il portavoce di Amazon Casey McGee ha dichiarato in una nota via mail: “A seguito di un’indagine, abbiamo disabilitato un sito Web che era collegato a questa app, in quanto violava la politica di utilizzo di AWS ”. Tale politica vieta ai clienti, tra le altre pratiche, di utilizzare il servizio di cloud computing “per minacciare, incitare, promuovere o incoraggiare attivamente la violenza, il terrorismo o altri gravi danni”.

Ma nonostante ciò Amazon stessa si rimprovera sul Washington Post, ammettendo di non essere riuscita a rintracciare i contenuti di matrice terrorista perché quanto pubblicato online dai clienti non è stato controllato preventivamente né con la dovuta accuratezza e periodicità.

Sembra dunque che anche le più grandi aziende al mondo debbano fare i conti con realtà di difficile gestione e risoluzione.