Il golden moment per la sonda Juno pare inesauribile grazie ad una mappatura dettagliata dell’atmosfera gioviana
Negli ultimi cinque anni il contributo apportato dalle scoperte della sonda Juno è stato quanto più prezioso, rendendo la conoscenza del grande gigante gassoso sempre più specifica. Ora finalmente è stato possibile elaborare la prima immagine tridimensionale relativa al pianeta.
La missione della NASA si è posta infatti l’obietto di studiare il campo magnetico del pianeta grazie ad una sonda orbitale polare. Nell’arco del suo corso d’opera, che si è effettivamente avviato con l’arrivo in prossimità di Giove nel 2016, Juno contribuisce e continuerà a farlo alle scoperte sensazionale sulla natura planetaria di questo molosso del sistema solare. Che conta una circonferenza orbitale di 4.888.000.000 km pari a 32,67 au.
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Le informazioni che ci arrivano continueranno il loro flusso ben oltre il termine iniziale della missione. Infatti, secondo il programma spaziale impostato dalla NASA, la sonda rimarrà attiva fino al 2025 salvo eventuali imprevisti tecnici. Successivamente è previsto che si debba autodistruggere volontariamente. E questo deviando la sua traiettoria in direzione dell’atmosfera gioviana. Il motivo di tale scelta consiste nel dover tutelare le attività di osservazione legate alla possibilità di una presenza biologica nel sistema solare.
Juno è una veterana del’orbita gioviana, grazie al completamento di 37 flyby ravvicinati intorno al pianeta.
La tecnologia presente a bordo infatti ha permesso di approfondire e comprendere meglio la fenomenologia che lo riguarda. I traguardi scientifici così raggiunti sono stati di notevole importanza. E ci restituiscono un immagine completa delle attività in corso nell’atmosfera di Giove.
Ma vi è di più. Le tempeste che contraddistinguono la sua atmosfera, che è stato confermato essere asimmetrica, hanno una collocazione nelle zone più alte. Infatti si estendono fino a 100km al di sotto della zona nuvolosa. Un’ennesima peculiarità che li contraddistingue, legata alle articolate densità atmosferiche, consiste nell’essere più calde nella parte alta e più fredde man mano che si scende negli strati inferiori.
Questo fenomeno però si presenta completamente rovesciamento nel momento in cui vengono analizzati gli anticicloni. A questa categoria appartiene anche la Grande Macchia Rossa. Grazie al team guidato da Marzia Parisi, del Jet Propulsion Laboratory della NASA, si è scoperto che questa non è molto profonda raggiungendo circa i 300 km.
L’ambito delle tempeste cicloniche è ed è stato appannaggio di uno strumento tutto italiano, il Jovian Infrared Auroral Mapper (JIRAM), la cui realizzazione è stata affidata alla Leonardo con la consulenza scientifica dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF).
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Dunque c’è molta soddisfazione alla NASA, per quelli che sono i risultati fin qui prodotti, così come traspare dalle parole del direttore della divisione di scienze planetarie della NASA a Washington, Jori Glaze. Secondo quanto dichiarato il contributo dei team internazionali ha reso possibile far luce su molti aspetti legati alla fenomenologia atmosferica di Giove che a lungo sono rimasti insondabili.
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