Sfacciato colpo all’economia effimera delle cryptovalute dopo l’ennesima serrata del governo cinese
L’ultimo colpo di scena è l’ennesimo inferto dal governo di Pechino, che già da lungo tempo ha deciso di intraprendere una polita di chiusura alle nuove monete virtuali. La dichiarazione rilasciata dalla Banca centrale cinese (BPOC) arriva quanto mai attesa e, allo stesso tempo, inaspettata, vista la portata e le conseguenze che ha decretato sui mercati finanziari.
Attraverso l’ente si è fatto noto che tutte le attività legate a transizioni che coinvolgano le cryptovalute sono considerati illegali. Non sarà più possibile effettuare pagamenti, trading oppure investire in pubblicità. Qualcosa che va ben oltre il veto fatto agli imprenditori che impediva loro di svolgere nuove pratiche di estrazione.
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La borsa ha subito risposto con un corposo tracollo, andando a toccare da vicino anche quelle voci che pensavamo ormai consolidate. Il Bitcoin si è visto scalciare di un 7,56% con una perdita netta di 41.387,35$. E non solo, anche Ether e Litecoin sono state colpite dalla diaspora con una cessione rispettiva di 10,16% e al’11,16%. Per quanto riguarda i Dogecoin non c’è stato nessun trattamento di favore. Pur essendo considerati un ottimo investimento che proiettava di esplodere con picchi elevatissimi entro la fine del 2021, si sono ritrovati ridimensionati con pesante -8,70%.
Per quanto la notizia sia stata impattante non giunge totalmente nuova sul palcoscenico delle trattative. È una pratica, quella che sta progressivamente attuando il governo, mirata all’estromissione delle cryptovalute.
Le prime avvisaglie si sono avute in aprile, quando era stato ingiunto agli imprenditori il divieto all’estrazione nonché alla creazione di nuovi token. Da questa prima bordata sembrava che il mercato si fosse lentamente ripreso allineandosi quello che era un trend in netta crescita.
Gli imprenditori cinesi infatti avevano risposto ai divieti esportando il loro business in altri paesi, oppure coprendo le attività sotto le mentite spoglie di aziende di gestione di database o adottando la strategia di spostare piccoli nuclei di macchine da una location all’altra.
La risposta della Cina non si è fatta attendere, ed è subito partita una ricerca a tappeto in tutte quelle aree dove si registravano picchi di consumo anomali legati appunto a sospette attività dei miners.
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La scelta di perseguire così duramente le criptovalute pare sia legata a molteplici aspetti, alcuni palesemente economici, altri legati ad un subitaneo greenwashing. Il governo cinese infatti ha espresso il suo dissenso verso un mercato effimero, sul quale è difficile avere un controllo centralizzato. L’idea che scambi con moneta reale, yuan, euro e dollaro, è considerata inaccettabile.
Si teme ora che l’irrigidimento causi dei danni e impatti ancor più pesantemente sul mercato finanziario, causando l’esplosione di una bolla.
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