Segreti e gelo tra Zuckerberg e Sandberg, con il libro sulle verità di Facebook mai venute fuori.
A Ugly Truth,“Un’orribile verità”, potrebbe essere tradotto così il titolo del libro rivelazione sui panni sporchi di Facebook in uscita il 13 Luglio negli Stati Uniti.
Un libro scritto da due apprezzate giornaliste del New York Times, Sheera Frenkel e Cecilia Kang, che senza mezze misure rivelano cosa c’è dietro la grande azienda di social media.
All’interno vi sono guerre intestine, capi che non si fidano gli uni degli altri, rapporti meno che trasparenti con la politica Usa, incontri al vetriolo e scandali insabbiati.
Intitolato An Ugly Truth: Inside Facebook’s Battle For Domination, tratta delle responsabilità di Facebook nella diffusione di comportamenti legati alla disinformazione, all’incitamento all’odio, alle teorie del complotto e alla violenza.
Ci sono voluti mesi di lavoro e interviste a oltre 400 tra ex e attuali dipendenti con ruolo a tutti i livelli dell’azienda fondata da Mark Zuckerberg per arrivare alle rivelazioni di A Ugly Truth.
Le responsabilità sono principalmente definite in termini di interessi economici nella monetizzazione di contenuti divisivi e infondati, e in termini di mancata attivazione di tempestivi e appropriati protocolli di protezione, nonostante la consapevolezza delle infiltrazioni russe e di altri fenomeni relativi alla sicurezza nazionale all’interno dell’azienda.
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Il libro di Frenkel e Kang si sofferma inoltre sui dissidi interni tra reparti e figure centrali all’interno di Facebook, incluso il rapporto problematico tra il CEO e cofondatore Mark Zuckerberg e l’influente direttrice operativa Sheryl Sandberg.
Un rapporto che le malelingue hanno sempre additato a qualcosa con una natura differente.
Per scriverlo, Frenkel e Kang – che al New York Times si occupano regolarmente di sicurezza informatica e aspetti normativi di Internet, quindi hanno una spolverata di base sull’argomento – hanno raccolto più di 1.000 ore di interviste a oltre 400 dipendenti ed ex dipendenti di Facebook di ogni livello, consulenti esterni, avvocati e altri professionisti vicini all’azienda.
Molte tra le persone intervistate hanno inoltre fornito promemoria interni, email e altri documenti consultati dalle autrici del libro.
Al cuore del racconto, di cui il NYT pubblica una lunga presentazione, il rapporto disfunzionale tra Zuckerberg e Sheryl Sandberg, la ex vicepresidente di Google arruolata dal fondatore nel dicembre del 2007, quando Facebook era ancora un’azienda piccola con qualche centinaio di dipendenti.
Il colpo di fulmine era nato a un party natalizio, quando lei era in piena crisi di carriera a Google e lui cercava vie per mettere a profitto su larga scala la visione tecnologica del suo sito nato nelle stanze universitarie di Harvard.
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An Ugly Truth si concentra su quanto accaduto all’interno di Facebook tra la campagna presidenziale del 2016 e l’assalto al Congresso del 6 gennaio scorso ( ve lo ricordate? potete leggere questo articolo ), un periodo di tempo in cui l’ex presidente Donald Trump ha di molto incrementato la sua popolarità e influenza sulla piattaforma, contribuendo anche alla diffusione di informazioni false o fuorvianti.
Il titolo del libro è tratto da un promemoria interno intitolato The Ugly (“il brutto”) e inviato nel giugno 2016 da Andrew Bosworth, un dirigente di Facebook descritto come uno tra i più stretti collaboratori e confidenti di Zuckerberg.
Nel libro si racconta che, nonostante le apparenze, e il mantenimento di abitudini formali come gli incontri bisettimanali e lo “sparring” delle dichiarazioni in occasioni pubbliche, il rapporto tra Zuckerberg e Sandberg è cambiato negli ultimi anni. Zuckerberg “è meno influenzato dalle opinioni di Sandberg”.
Il CEO di Facebook è anche “critico del modo in cui aveva gestito le pubbliche relazioni” all’indomani dello scandalo di Cambridge Analytica, con la gigantesca retata di dati privati destinati alla campagna elettorale di Donald Trump per la Casa Bianca.
In questi anni Sandberg ha rappresentato almeno sulla carta il volto “politico” di Facebook, o almeno questo era uno degli asset che l’avevano attirata nell’orbita di Zuckerberg, che di sé ha sempre offerto l’immagine di un alieno della vita pubblica, annoiato dai giochi della politica e scarsamente propenso al rapporto empatico con il pubblico e lobbystico con i potenti.
All’epoca dei fatti, una squadra di tecnici e sviluppatori di Facebook era impegnata nella raccolta dei dati provenienti dall’analisi dei news feed, lo strumento che aveva permesso a Facebook di incrementare notevolmente i guadagni dando priorità al coinvolgimento degli utenti (engagement) e al raggruppamento di persone con idee simili.
Un’ottima idea. O almeno così si pensava.
“Giovani intraprendenti si resero conto di poter fare soldi dando agli americani il tipo di contenuti che desideravano”, scrivono Frenkel e Kang. “Improvvisamente, storie che davano Hillary Clinton segretamente in coma, o che asserivano l’esistenza di un figlio di Bill Clinton nato da una relazione extraconiugale, si diffusero su Facebook. Le persone che ci stavano dietro erano in gran parte apolitiche, ma sapevano che più stravagante era la storia, più era probabile che un utente facesse clic sul collegamento”.
Il tutto senza che dal social si muovesse un dito per limitare i danni.
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Ma è proprio il modo in cui Facebook è progettata ad aver reso possibile un tale precipizio: ad esempio, l’enfasi sulle interazioni a prescindere dal loro contenuto, e sulla creazione di gruppi di persone che la pensano allo stesso modo, sempre più isolate dagli altri anche grazie all’importanza crescente attribuita ai gruppi privati.
“I problemi di Facebook non sono dei bug, sono sue caratteristiche tecniche“, dicono Frenkel e Kang. E non è un caso che per anni Zuckerberg si sia rifiutato di intervenire su quelle che considerava libere manifestazioni del pensiero, ed erano in realtà formidabili propellenti di interazioni, traffico e denaro, oltre che vettori d’odio.
Un aggiornamento dell’algoritmo di Facebook, pensato per cercare di risolvere il problema, ebbe altre conseguenze indesiderate.
La modifica diede priorità ai contenuti di familiari e amici, a scapito dei siti inaffidabili, ma analisi condotte da ricercatori esterni portarono alla conclusione che anche siti accreditati come quelli di CNN e Washington Post erano stati penalizzati.
Gli utenti smisero di vedere quelle news e continuarono a vedere contenuti falsi e ultradivisivi condivisi da familiari e amici. A fronte delle crescenti preoccupazioni dei dipendenti, Bosworth, il dirigente in confidenza con Zuckerberg, diffuse la nota interna da cui è tratto il titolo del libro di Frenkel e Kang.
Il libro delle giornaliste del NYT mette in luce il ruolo sempre più marginale di Sandberg in questo quadro, e il suo crescente disagio rispetto alle scelte sempre più isolate e accentratrici del socio.
La portavoce di Facebook Dani Lever smentisce con forza le rivelazioni del libro, e afferma che dagli estratti che ha potuto visionare gli autori espongono una “falsa narrazione basata su interviste selettive, molte fatte a individui scontenti, e su fatti raccolti in modo parziale”. “Il ruolo di Sheryl nell’azienda non è cambiato“, dice Lever, che inserisce anche l’accusa di sessismo: “Gli estratti sono tipici degli attacchi alle donne leader – negano il loro potere, sminuiscono le loro competenze e marginalizzano i loro ruolo e relazioni”.
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