Idea lanciata nel 2019, punta a sviluppare soluzioni collaborative e open source che proteggano la privacy degli utenti senza danneggiare imprese e sviluppatori, che contano molto sui cookies.
Chrome, il browser di Google, potrebbe eliminare i cookie di terze parti entro la fine del 2023. Lo afferma Big G in un post sull’evoluzione di Privacy Sandbox.
L’iniziativa, lanciata nel 2019, punta a sviluppare soluzioni collaborative e open source che proteggano la privacy degli utenti senza danneggiare imprese e sviluppatori che poggiano sulla pubblicità e sull’offerta di contenuti gratuiti.
“Il recente assalto ai cookie da parte dei regolatori della privacy e dei browser come Safari e Chrome è stata una lezione spietata per gli affari”, sottolinea il Financial Times.
“L’ecosistema pubblicitario che vediamo oggi non esisterebbe senza i cookie. Ecco quanto sono fondamentali” ha affermato Ratko Vidakovic, fondatore della società di consulenza AdProfs.
“La loro perdita è estremamente dirompente dal punto di vista tecnico, perché sono utilizzati dall’industria in ogni fase: pianificazione, targeting, misurazione e attribuzione delle vendite”.
Fino a oggi, Chrome e altre realtà hanno messo in campo più di 30 proposte, di cui quattro già in fase di sperimentazione. Obiettivo: tecnologie principali “pronte per la distribuzione entro la fine del 2022, affinché la comunità degli sviluppatori possa iniziare ad adottarle”. Si passerebbe poi a “eliminare gradualmente i cookie di terze parti nell’arco di un periodo di tre mesi, cominciando verso metà del 2023 e fino alla fine dell’anno”.
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I tempi non sono brevissimi, come riconosce a più riprese Google, con un po’ di amaro in bocca: l’obiettivo “richiede un progresso condiviso e un ritmo responsabile”.
Chrome deve avere “un tempo adeguato” per “valutare le nuove tecnologie, raccogliere i feedback e riflettere sui processi”.
Parole sue.
Non è semplice come spegnere un interruttore della luce, anzi, risulta essere un po’ più complicato: Privacy Sandbox sta cercando un complicato punto di equilibrio tra la protezione della privacy e i modelli di business, come quello di Google, che vivono e restano in piedi grazie alla pubblicità (anche grazie ai cookie).
Si tratta quindi di conciliare interessi avvertiti spesso (a ragione) come contrapposti, attraverso il coinvolgimento di sviluppatori, editori e autorità di regolamentazione.
I tempi, quindi, si allungano non solo per ragioni tecniche ma anche per l’esigenza di mediare
Un punto cruciale è che non tutti i cookie stanno scomparendo.
I cookie proprietari – creati dal dominio visitato da un utente per ricordare i carrelli o i nomi utente – non sono influenzati dai tracker.
In effetti, il loro valore è aumentato come fonte di dati per personalizzare gli annunci.
All’interno del mercato pubblicitario, ciò può comportare un ulteriore spostamento di potere.
Vale a dire da un “Internet aperto, dove un tempo prosperava adtech – e i cookie tracciavano l’attività degli utenti tra i siti – a domini più chiusi che contengono dati dettagliati sui loro utenti diretti. Questo mondo chiuso si estende da piccoli rivenditori o editori, che potrebbero chiedere agli utenti di registrarsi o pagare abbonamenti, a grandi piattaforme come Facebook o Google, che contengono enormi quantità di dati sui propri utenti”.
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Il termine cookies è ormai familiare a molti utenti. Lo è da quando, nel 2019, l’Ue ha imposto l’obbligo di consenso attivo: nella prassi, è quel messaggio che compare quando entriamo su un sito, spesso approvando senza pensarci troppo.
Delegare alla scelta dell’utente è sì una tutela in più, ma non ha certo limitato il potere di tracciamento. I cookie sono infatti “pezzetti” di codice che riconoscono l’utente, fornendogli una navigazione personalizzata (con pubblicità su misura).
Vuol dire che, grazie alle soluzioni di Privacy Sandbox, i cookie saranno eliminati del tutto? No. Saranno eliminati solo quelli di terze parti, cioè quelli che raccolgono dati e personalizzano gli annunci durante tutta la navigazione, su pagine web diverse.
Esistono varie opzioni per gli operatori adtech indipendenti per ridurre la loro dipendenza dai cookie, ma tutti comportano un certo grado di rischio.
“Il più ovvio è stabilire altri sistemi per replicare le funzioni di un cookie. Ma gli innumerevoli tentativi di standardizzare il tracciamento dell’identità degli utenti, sia per rendere i cookie più efficaci sia per sostituirli, testimoniano quanto sia difficile raggiungere l’obiettivo – osserve Ft -.A peggiorare le cose, alcune alternative efficaci si basano su tecniche come i dispositivi di impronte digitali che sono disapprovati dagli operatori del browser e dai regolatori che hanno ucciso il cookie”
Nel 2023, quindi, potrebbero esserci dei passi avanti ma non ci sarà la fine del tracciamento.
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