Natale 2021 è una data che verrà ricordata come l’inizio di una missione che potrebbe cambiare la nostra storia. Il lancio del telescopio James Webb alla gli orizzonti sulla nascita del nostro universo, è un qualcosa che sta attirando come una calamita tutti gli astronomi del mondo, che attendevano la missione dell’erede di Hubble da trent’anni.
Il telescopio a raggi infrarossi è qualcosa di unico, dotato di tecnologie di progettazione d’avanguardia, il più grande mai inviato nello spazio, figlio di una collaborazione a tre fra NASA, CSA (l’agenzia spaziale canadese) ed ESA (l’agenzia europea).
Partito dalla base di Kourou nella Guyana francese, Webb orbiterà (a differenza di Hubble) intorno al sole, a 1,5 milioni di km dalla Terra al punto L2 di Lagrange, orbita già utilizzata per le missioni WMAP, Herschel e Planck, che terrà il telescopio allineato con l’orbita terrestre e consentendo allo scudo di proteggere il telescopio dalla luce e dal calore.
James Webb e le differenze con Hubble. “Alla scoperta di una galassia di stelle solo ipotizzate”
“E’ come quando si va in collina per vedere il panorama, si vede meglio e più lontano”. Così parlò Carlo Rovelli, noto fisico veronese sulla missione di James Webb. “E’ stato portato così lontano perché l’atmosfera di Terra e Luna gli annebbiano la vista. Vedere più lontano significa anche vedere più indietro nel tempo, per un motivo molto semplice – continua Rovelli – perché le distanze delle galassie lontane sono enormi e la luce per andare da quella galassia fino a noi, impiega miliardi di anni. Questo vuol dire che se vediamo una cosa più lontana, questa ha viaggiato per più tempo, quindi la vedremo più nel passato”.
Le innovazioni di James Webb rispetto ai precedenti telescopi spaziali sono uniche: il grande specchio primario di 6,5 metri per studiare lunghezze d’onda nella banda infrarossa, un ampio scudo termico multistrato per il mantenimento di una temperatura operativa molto bassa.
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“Con questa missione faremo un passo di grosso interesse: scopriremo più lontano e prima del tempo – sottolinea il 66enne veronese – noi sappiamo quando l’universo si è formato: era una grande nube di idrogeno, con un po’ di elio e nient’altro. Non c’erano sostanze ed elementi di oggi, quei metalli, formati dentro le stelle”.
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Per il JWST sono state sviluppate diverse tecnologie innovative. Le più importanti includono uno specchio primario costituito da 18 specchi esagonali in berillio ultraleggero che dispiegandosi dopo il lancio comporranno un’unica grande superficie di raccolta. L’obiettivo è la ricerca della terza generazione di stelle, finora soltato ipotizzata: “Questa generazione ha cominciato a fare i primi elementi – puntualizza Rovelli – finora queste galassie sono state solo ipotizzate, ma mai viste, forse il telescopio Webb ci dirà permetterà di vederle”.