Per via dei nuovi strumenti in mano agli esperti del settore, adesso anche il cervello potrà avere una sua impronta digitale.
Avete mai pensato che oltre alle impronte digitali che possiamo dare tramite le nostre mani, sia possibile farlo anche con il cervello? È quello che si sono chiesti i medici svizzeri del Politecnico di Losanna, in particolar modo il gruppo guidato da Enrico Amico.
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Si tratta di una nuova tecnica che permette di avere un’impronta unica del cervello, e che potrebbe servire sia per comprendere meglio alcune malattia neurodegenerative come l’Alzheimer, che per studiare di più le conseguenze dell’ictus, dell’autismo o delle tossicodipendenze.
La scoperta è stata pubblicata sulla rivista Science Advances. Per poter catturare l’impronta del cervello sono state usate nuove tecniche di analisi delle immagini ottenute con la risonanza magnetica. Difatti, in meno di due minuti, i ricercatori hanno preso la firma dell’attività cerebrale, che resta comunque sia una identità che tende a sbiadire nei soggetti colpiti da malattie neurodegenerative. Un tempo davvero brevissimo, e che ha lasciato stupiti persino gli stessi medici.
Enrico Amico si è espresso in merito, dicendo che: “Utilizzando delle semplici immagini ottenute con la Risonanza magnetica in questi ultimi anni abbiamo imparato a esaminare le attività e le connessioni tra le diverse aree del cervello, abbiamo scoperto che esistono schemi tipici di ogni singolo cervello. In sostanza, ed e’ per me clamoroso e ricco di potenziali avanzamenti, e’ possibile identificare un individuo dalla sua impronta cerebrale“.
Tuttavia, è bene ricordare che l’impronta del cervello non sia così comune come sembra. Per farla sono necessari i connettomi cerebrali funzionali, ovvero una sorta di timelapse che registra tutte le attività rilevate dalla macchine e che, una volta visualizzate, le riporta in un singolo fotogramma.
I nostri connettomi cambiano in base alle azioni svolte e alle parti del cervello messe all’opera. Al loro interno, inoltre, emergono degli schemi che si conservano in ogni persona, anche a distanza di due anni probabilmente. Oggi, grazie al lavoro di Enrico Amico, bastano soltanto 2 minuti per riconoscerli. Una vera e propria scoperta che non può essere assolutamente trascurata.
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Adesso si dovranno confrontare le impronte cerebrali di individui sani con quelle di soggetti affetti da malattie degenerative, come l’Alzheimer ad esempio. Enrico Amico, su questo, dichiara che: “Dalle prime analisi sembra che le caratteristiche che rendono unica un’impronta digitale cerebrale scompaiano costantemente con il progredire della malattia. Diventa cioè più difficile identificare le persone in base ai loro connettomi. È come se una persona con l’Alzheimer perdesse la sua identità cerebrale. E’ un altro piccolo passo verso la comprensione di ciò che rende unico il nostro cervello: le opportunità che potrebbero aprirsi sono illimitate“.
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