Ad un passo dalla chirurgia del futuro, la possibilità di replicare gli organi con stampanti 3D.
Due stampanti 3D in grado di replicare non solo la forma, ma anche la consistenza di organi e tessuti umani, partendo da una TAC o da una risonanza magnetica dei pazienti e con un materiale «bio».
No, non siamo in una puntata di Grey’s Anatomy dove Cristina Yang replica la vena cava di un cuore, ma finalmente siamo nella realtà.
Si tratta della più recente e innovativa tecnologia nell’ambito della ingegneria tessutale di cui si è dotato il laboratorio di chirurgia pediatrica sperimentale dell’Università di Verona, guidato da Luca Giacomello che ha sede al Lurm, il Laboratorio universitario di ricerca medica.
Un acquisto importante reso possibile dal dipartimento di Scienze chirurgiche, odontostomatologiche e materno-infantile, dell’ateneo diretto da Giovanni De Manzoni, che ha subito colto le potenzialità di dotarsi di una tecnologia all’avanguardia ed unica nel suo genere.
E proprio per sfruttare al meglio questo potenziale è nato Prometeo NanoLab laboratorio congiunto tra Università e Nanomnia, startup veronese, con l’obiettivo di sviluppare progetti nell’ambito delle nanotecnologie applicate alla medicina rigenerativa ed ingegneria tissutale, per la rigenerazione di organi e tessuti, mediante le stampanti 3D-bioprinting recentemente acquisite.
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Le stampanti 3D stanno diventando una presenza sempre più importante all’interno delle fabbriche e delle aziende, e persino ospedali.
Perché?
Perché consentono a tutti di realizzare piccoli oggetti a basso costo, scegliendo materiali e forme, in questo caso è capace di stampare organi utilizzati per trapianti.
Tuttavia, non è poi così immediato capire come una stampante di questo tipo funzioni, cosa permetta di realizzare e quali siano i suoi vantaggi.
E soprattutto, tenete bene a mente che non avrà le tempistiche di una stampante normale.
Innanzitutto, perché si chiama stampa 3D? Viene utilizzato il termine stampa perché la tecnica alla base, fatte le dovute proporzioni, ricorda quella utilizzata dalle stampanti laser: l’utente realizza un progetto su un software per la stampa 3D e poi lo invia alla stampante affinché lo possa realizzare.
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Il procedimento è molto simile a quello che utilizziamo per stampare dei documenti con la periferica che abbiamo a casa: in pochi minuti, la sottilissima testina costruisce davanti ai nostri occhi il progetto, forgiando il materiale prescelto strato dopo strato.
Per le stampanti 3D, la tempistica è molto diversa, soprattutto in campo chirurgico.
La parte fondamentale resta la progettazione dell’oggetto da costruire, che va fatta al computer con un programma apposito.
Il documento da mandare in stampa deve contenere tutti i dettagli del prodotto finale: dalla lunghezza alla profondità, fino ai materiali da utilizzare.
In genere, il formato usato per salvare un progetto da mandare in stampa è il Stl (Standard Triangulation Language To Layer), un formato che scompone il progetto in triangoli grafici in modo che per la stampante sia facile riprodurre il disegno iniziale.
Per capire come funziona una stampante 3D dobbiamo pensare alla stampa 2D utilizzata solitamente per i documenti, ovvero sia le tradizionali stampanti conosciute e usate da tutti a casa o in ufficio.
La differenza principale sta nella testina che, nel caso di una stampante 3D, è sostituita da un estrusoreche – invece che l’inchiostro – impiega i polimeri dei materiali scelti.
I filamenti in forma di granuli sono riscaldati, fusi e stratificati ad alta temperatura fino all’ultimazione del processo di costruzione.
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