Le comunità artiche, in prima linea contro il cambiamento climatico, stanno combattendo duramente per preservare la loro cultura, e hanno deciso di affidarsi alla tecnologia
Spesso, siamo soliti pensare che le comunità indigene presenti in diverse parti del mondo siano talmente isolate e ancorate alle vecchie tradizioni al punto di non sapere neanche cosa sia l’evoluzione tecnologica. Ma, a quanto pare, questo discorso non vale per gli Inuit, piccolo popolo risiedente nell’estremo nord del Canada, nel territorio del Nunavut. Ma facciamo una piccola premessa.
Per quanto questa macro-regione sia estesa (oltre due milioni di chilometri quadrati, corrispondenti all’intera dimensione dell’Europa occidentale), i cittadini del Nunavut sono meno di 40.000. Un piccolo popolo in un’area vastissima, che vive costantemente “al freddo”, ma che da anni è più unito che mai nel cercare con ogni mezzo di affrontare e resistere al cambiamento climatico. L’Artico, infatti, si sta riscaldando due volte più velocemente rispetto al resto del mondo e gli scienziati stimano che il ghiaccio marino estivo artico potrebbe scomparire completamente entro il 2040.
Mentre l’ambiente diventa sempre più imprevedibile, le persone che risiedono nell’estremo nord del Canada sono quindi costrette a cercare nuovi metodi per mantenere in vita le loro pratiche culturali e metodi di sussistenza, come la caccia alle balene, la pastorizia delle renne e la pesca sul ghiaccio. Ma perché parliamo di questo? Perché, a tal fine, le comunità artiche hanno trovato rifugio nella tecnologia, cosa che anni addietro sarebbe stata molto difficile da immaginare. Essi, infatti, utilizzano sensori che mostrano quando il ghiaccio è sicuro da attraversare, collari GPS per “tracciare” le renne e strumenti sociali per condividere le conoscenze tra le piccole comunità sparse nella regione. Tra poco le vedremo più nel dettaglio.
A differenza di molte regioni del mondo in cui si parla ancora di ipotetiche soluzioni al problema nel tempo futuro, le comunità indigene stanno quindi adattando attivamente le loro vite con la tecnologia, mentre osservano i mutamenti causati dal cambiamento climatico accadere impietosamente di fronte ai propri occhi.
“Sicuramente, durante la mia vita, sto osservando il cambiamento del clima e come ci colpisce“, afferma Rex Holwell, un cittadino di Nain, piccolo villaggio Inuit. Egli è a capo di un’organizzazione no-profit chiamata SmartIce, che ha sede a St. John’s, nella provincia di Terranova e Labrador, sempre in Canada. Fondata nel 2010, SmartIce costruisce strumenti di adattamento ai cambiamenti climatici, che integrano le moderne tecnologie di misurazione del ghiaccio con le tradizionali conoscenze Inuit. Nel novembre 2020 ha ricevuto una sovvenzione di oltre 670.000 dollari canadesi dal governo, al fine di rendere più sicuri i viaggi sul ghiaccio marino nelle regioni Inuit, mentre, nel frattempo, continua a lavorare sulla raccolta di dati in tempo reale sulle condizioni del ghiaccio.
Inoltre, “Non solo l’organizzazione non profit soddisfa pienamente i bisogni degli Inuit”, dice Howell, “ma poiché la tecnologia è costruita a Nain, fornisce anche lavoro e istruzione ai giovani ragazzi del posto”. Come immaginabile, gli strumenti e la tecnologia di SmartIce sono richiestissimi dalle comunità artiche di tutto il Canada settentrionale. Ecco quali sono:
SmartBuoy e SmartKamotik sono due sensori di misurazione del ghiaccio: il primo misura lo spessore del ghiaccio nel luogo in cui è dispiegato; il secondo è un radar penetrante nel terreno, che viene trainato con una motoslitta per misurare lo spessore del ghiaccio marino. SmartIce collabora anche con un altro progetto tecnologico guidato dalla comunità, Siku, nato anche per visualizzare i dati raccolti dalle sue SmartBuoys. Lanciato alla fine del 2019, Siku è in parte una piattaforma di mappatura, in parte un social network che fornisce alle comunità indigene di tutto l’Artico gli strumenti e i servizi di cui hanno bisogno per navigare in sicurezza sul ghiaccio, compresi i tempi di marea, le previsioni marine e le misurazioni della consistenza del ghiaccio, dati appunto rilevati dai due sensori di misurazione appena menzionati.
Su Siku, i cacciatori possono pubblicare immagini, avvertimenti sul ghiaccio sottile e mappe dei loro viaggi sull’app mobile (disponibile su iOS e Android), condividendo le informazioni con le proprie comunità e con i ricercatori scientifici, se lo desiderano. La copertura wireless è tutt’altro che perfetta nella regione, ma tutte le comunità del Nunavut riescono comunque ad essere “connesse”.
Considerando che il cambiamento climatico sta rendendo sempre più difficile trovare cibo per il pascolo degli animali, gli allevamenti di renne sono inevitabilmente minacciati. La salita delle temperature – con lo scioglimento e il successivo congelamento – crea strati di ghiaccio nella neve che sono difficili da scavare per le renne per mangiare l’erba sottostante. Di fatto, non essendo disponibile sufficiente erba per nutrirsi, le renne viaggiano anche per diversi chilometri al fine di trovare cibo, rischiando di perdersi o imbattersi in situazioni difficili. Per questo, i pastori più giovani si sono trovati costretti ad utilizzare collari GPS e droni per tracciare e mappare i movimenti delle renne. Entrambi gli strumenti hanno aiutato i pastori a capire dove si trovano gli animali, come si muovono e se possono trovarsi nei guai.
Anne May Olli, una allevatrice di renne norvegese facente parte del popolo Sami (nell’estremo nord della Lapponia) afferma che “Siamo ancora Sami, anche se stiamo usando la nuova tecnologia“. E aggiunge: “Se vogliamo assicurarci di sopravvivere dobbiamo conoscere il cambiamento climatico e dobbiamo assicurarci che l’allevamento delle renne e altri modi di vivere nelle nostre aree siano ancora possibili in futuro. Abbiamo bisogno di acquisire nuove conoscenze e tecnologie, ma tenendo in testa chi siamo come popolo“.
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Queste soluzioni, che possiamo conoscere e imparare da chi si trova in prima linea col cambiamento climatico ovviamente non possono bastare: gli Inuit e le comunità artiche sono un esempio per aver pensato e sfruttato soluzioni innovative basate sulla tecnologia, ma contano gli atteggiamenti, i valori e le prospettive da parte di ogni abitante del mondo. La tecnologia, purtroppo, può risolvere o dare un aiuto nell’affrontare le conseguenze del cambiamento climatico, ma non può porre un rimedio “alla radice del problema”.
E ciò che infastidisce di più queste popolazioni è che, paradossalmente, questi cambiamenti non sono loro a causarli. Anne May Olli conclude infatti affermando che “ora siamo noi quelli che stanno vivendo i cambiamenti, ma in seguito saranno tutti i paesi, non solo le aree artiche. Quindi, se stanno iniziando ad ascoltarci, forse abbiamo la possibilità di cambiare, di fare un passo avanti e non contribuire a questo processo che sta procedendo così velocemente“.
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