Succede molto spesso, in realtà, che uno Stato banni un social media, soprattutto se al suo interno vi succedono episodi troppo spiacevoli.
In questo momento dove stiamo vivendo forti tensioni internazionali che stanno coinvolgendo, inevitabilmente, anche le piattaforme social di tutto il mondo, che devono fare i conti con il loro ruolo politico e con i commenti e le news, a volte fake, che viaggiano sui nostri schermi. A questo proposito, parliamo di Telegram che sta schivando tutte le frecce avvelenate in arrivo dalla Russia (che nel frattempo ha censurato Facebook, Twitter, YouTube e oscurato Instagram, secondo noi per inserire solo ed esclusivamente social media di origine russa), e grazie ai suoi Canali si sta distinguendo come uno strumento sempre più importante per continuare a comunicare e scambiare informazioni, dato che non vengono sorvegliate come sulle altre applicazioni.
Ma, se in Russia andrà così, dall’altra parte del mondo le cose vanno all’opposto: Telegram, infatti, è stato bannato dal Brasile per poi essere riattivato un paio di giorni dopo, all’improvviso. E la vicenda ha degli aspetti piuttosto assurdi, come spiegato dal CEO dell’app di messaggistica Pavel Durov, che ha rilasciato un’intervista molto lunga e che vi riportiamo qui sotto, in parte.
Durov ha spiegato sul proprio canale Telegram che la decisione, decisamente molto drastica, presa dalla Corte suprema brasiliana ha a che fare con un problema legato alle email che girano sull’applicazione dell’aeroplano . Nello specifico, Telegram non avrebbe risposto ad alcune mail della Corte suprema che richiedevano la rimozione di contenuti ritenuti pericolosi. Ecco perchè si è arrivati a questo punto.
Ma quella di Telegram, spiega Durov, non è stata una scelta intenzionale, ed è bene specificarlo . Le autorità brasiliane infatti avrebbero continuato a comunicare con l’azienda facendo riferimento ad un “vecchio indirizzo e-mail generico” invece che all'”indirizzo e-mail dedicato” indicato da Telegram nelle precedenti comunicazioni. Ecco il perchè della mancata risposta.
Di seguito, vi riportiamo il messaggio integrale di Durov:
“Sembra che abbiamo avuto un problema con le e-mail tra i nostri indirizzi aziendali di telegram.org e la Corte Suprema brasiliana. A seguito di questo errore di comunicazione, la Corte ha deciso di vietare Telegram per non aver risposto.
A nome del nostro team, mi scuso con la Corte Suprema brasiliana per la nostra negligenza. Avremmo sicuramente potuto fare un lavoro migliore.
Abbiamo rispettato una precedente decisione del tribunale a fine febbraio e abbiamo risposto con un suggerimento per inviare future richieste di rimozione a un indirizzo e-mail dedicato. Sfortunatamente, la nostra risposta deve essere andata persa, perché la Corte ha utilizzato il vecchio indirizzo e-mail generico per ulteriori tentativi di raggiungerci. Di conseguenza, abbiamo perso la sua decisione all’inizio di marzo che conteneva una richiesta di rimozione successiva. Fortunatamente, ora l’abbiamo trovato ed elaborato, consegnando oggi un’altra relazione alla Corte.
Poiché decine di milioni di brasiliani si affidano a Telegram per comunicare con familiari, amici e colleghi, chiedo alla Corte di prendere in considerazione la possibilità di posticipare di qualche giorno la sua sentenza a sua discrezione per permetterci di porre rimedio alla situazione nominando un rappresentante in Brasile e istituendo un quadro per reagire a problemi urgenti futuri come questo in modo rapido.
Le ultime 3 settimane sono state senza precedenti per il mondo e per Telegram. Il nostro team di moderazione dei contenuti è stato invaso da richieste provenienti da più parti. Tuttavia, sono certo che una volta stabilito un canale di comunicazione affidabile, saremo in grado di elaborare in modo efficiente le richieste di rimozione per i canali pubblici illegali in Brasile.”
Ma, dopo qualche giorno, il ban è stato revocato da un giudice della Corte Suprema del Brasile.Come? Semplice: ritrovate le mail in questione, Telegram avrebbe infatti rispettato gli accordi alla richiesta della corte rimuovendo i contenuti incriminati.
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