La Fondazione accusa la società nipponica di agire in maniera sconsiderata, andando a pregiudicare la credibilità del comparto, soprattutto online
Quella che sta coinvolgendo Nintendo è una situazione molto delicata. Vuoi perché la società rappresenta un baluardo nel contesto estremamente complesso ed articolato del gaming. E’ un pezzo di storia, è l’apripista. Ed in definitiva, ogni sua scelta strategica ha delle ricadute importanti sul settore. Oltre a fornire informazioni importanti sullo stato di salute del mondo dei videogames.
Ha suscitato quindi molto scalpore la dichiarazione nella quale l’azienda ha annunciato che nel 2023 verranno chiusi i server che attualmente ospitano i siti degli shop di 3DS e Wii U. Una scelta che tuttavia non coglie gli esperti in materia del tutto imprevista. Purtroppo si tratta di una decisione strategica a lungo meditata. Le prime avvisaglie in tal senso infatti erano state le intenzioni di effettuare questa operazione già nel 2014. Molto prima che il comparto fosse travolto alle trasformazioni rivoluzionarie legate all’emergenza sanitaria mondiale.
Proseguire su questo crinale però avrà delle conseguenze che potrebbero essere ben al di là di quello che in apparenza potrebbe sembrare. E questo stando alle parole di un ex dipendente della Nintendo of America.
L’addetto ai lavori, che ha preferito rimanere una fonte anonima, in una recente intervista rilasciata al al portale VGC, ha sottolineato come la chiusura dello shop online rappresenterebbe una follia. Andando ad eliminare la memoria degli acquisti e della storia degli utenti tutti i contenuti di cui sono entrati in possesso negli anni rischiano di rimanere solo sulle console fisiche dei giocatori e negli eventuali dispositivi di back-up ai quali si fa normalmente ricorso.
Ciò comporterebbe che, in caso gli strumenti a nostra disposizione subissero un danneggiamento o andassero perduti, gli utenti rischierebbero di rimanere completamente a secco, senza possibilità alcuna di recuperare i videogames e tutti i contenuti sapientemente collezionati nel tempo.
Ecco quindi che la reazione della Video Games History Foundation non si è fatta attendere. L’associazione infatti, pur consapevole delle specifiche legate alle esigenze aziendali e alla necessità di sviluppo legate al business, condanna infine un atteggiamento puramente merceologico. Che non tiene in considerazione quanto la digitalizzazione sia diventata una parte sostanziale del mazza di carte su cui si gioca la partita dei videogames.
Ora che le parti hanno espresso le relative posizioni ci si aspetta che la società nipponica appronti una politica che tenga conto delle istanze sollevate dalla Fondazione. Qualora infatti non si sviluppasse un meccanismo paracadute che supporti il sistema dopo lo spegnimento ci sarebbe sicuramente una frattura tra le società del divertimento e i gamers.
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