Il nome di questo soggetto è legato a un caso che ci ha lasciati senza parole, raccontato in un documentario trasmesso su Netflix e intitolato “The Tinder Swindler”, “Il Truffatore di Tinder”. Ecco chi è Shimon Hayut e perchè la sua storia vi farà arrabbiare a tal punto da cancellare, se ce l’avete, l’app dal vostro telefono
Shimon Hayut . Questo è il nome dell’uomo che avrebbe ispirato il docu-film Netflix Il Truffatore di Tinder, disponibile dal 2 febbraio 2022 sulla celebre piattaforma, e che sta facendo parlare molto di sè. Una truffa vecchia come il mondo che, nonostante le tecnologie, va avanti e anzi, sembra proprio adeguarsi ai giorni nostri. La storia di un 31enne passato alle cronache per le presunte truffe da capogiro (stiamo parlando di cifre da 10 milioni di dollari in totale, riporta Forbes), ordite sotto mentite spoglie (spacciandosi per un ricchissimo rubacuori, Simon Leviev, ereditiero della famiglia Leviev, CEO di una catena di diamanti) ai danni di decine di donne dietro l’iniziale promessa di una vita da sogno tra viaggi in jet privato e hotel di lusso, regali sfarzosi e una casa da mozzare il fiato. Il “principe azzurro virtuale” come lo descrive la prima vittima nel documentario, aveva un profilo Instagram ad hoc, pieno di followers e molte foto che confermavano uno stile di vita benestante tra feste, macchine di lusso, ristoranti stellati e alberghi raffinati in varie città d’Europa, sempre in movimento. Si presentava alle sue vittime come il figlio di un miliardario, l’erede di un’azienda leader nel commercio di diamanti, la cui vita era in pericolo e girava con una mastodontica guardia del corpo, Peter.
A un certo punto della relazione, però, spuntavano nemici pericolosi e violenti che gli davano la caccia e attentavano alla sua vita, e Simon iniziava a chiedere soldi alla partner di turno perchè impossibilitato ad usare le sue carte (rintracciabili), inviando foto insanguinate di se stesso e della sua guardia del corpo per far leva sulla sua compassione e il suo amore, con vocali strappa lacrime, promesse mai mantenute, chiamate in lacrime e così via. Le banche avevano congelato i suoi conti e aveva bisogno di prendere in prestito 25 mila dollari (per viaggiare) che poi piano piano diventavano sempre di più, e le vittime arrivavano a indebitarsi con banche e banche per poterlo salvare e portare a casa. Il racconto di donne che hanno subito questo tipo di inganno fa raggelare davvero tutti quelli che guardano questo documentario. Un sistema che si sarebbe mosso sul perimetro di uno “schema Ponzi“:
Alla fine, secondo quanto emerso dalle varie testimonianze, avrebbe speso centinaia di migliaia di dollari per ogni donna, famiglia e amici, usando i soldi ricevuti dalla precedente, per passare alle successive seguendo lo stesso impianto di menzogne e raggiri. Insomma, un costante flusso di soldi che Simon sperperava senza sosta come un drogato in cerca di una dose.
Nato a Bnei Brak, a est di Tel Aviv, Shimon Hayut, vero nome di Simon Leviev, avrebbe cambiato nome senza avere alcun legame con la nota famiglia israeliana dei Leviev che più volte ha sottolineato che non c’è alcun legame di parentela con l’uomo. Secondo le varie ricerche, sarebbe fuggito da Israele nel 2011 per scampare a un processo per frode (che strano) e in Finlandia, dove avrebbe vissuto per diverso tempo, e avrebbe coltivato la rete di truffe oggi al centro del documentario su Netflix.
Per queste condotte, avrebbe scontato 2 anni in un carcere finlandese e, nel 2017, dopo il rilascio sarebbe tornato in patria per poi darsi nuovamente alla fuga e attuare il piano delle truffe su Tinder. Nel 2019 sarebbe stato individuato e arrestato in Grecia (proprio grazie all’ex ragazza che ha trovato il modo di vendicarsi e denunciarlo fornendo prove schiaccianti), infine estradato in Israele per scontare la pena. Avrebbe però scontato solo 5 mesi dei 15 previsti, grazie a uno sconto per buona condotta a cui fatichiamo a credere, dato che nel documentario si evince l’ira nella sua voce ogni volta che si trovava in una situazione di disagio. Tornato in libertà, nega le accuse e avrebbe espresso la volontà di raccontare la sua versione dei fatti dopo l’uscita del docu-film, di cui non è contento.
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