Le criptovalute hanno lasciato uno stato senza energia elettrica

La crisi al sistema energetico del Kazakistan è un ulteriore elemento della complessa avanzata delle monete virtuali con tutte le conseguenze del caso

La diffusione sempre maggiore e l’accessibilità a questa economia volatile sta creando importanti fratture nel settore energetico del paese – MeteoWeek.com

Come sia stato possibile mettere in ginocchio il sistema di approvvigionamento della rete energetica di un paese come il Kazakistan va capito analizzando quello che è il fenomeno di crescita delle criptovalute.

Il paese, i cui impianti di produzione e distribuzione non sono neppure particolarmente noti per essere efficienti o all’avanguardia, si è visto pesantemente mettere in ginocchio a causa delle intense attività di estrazione dei miners, che notoriamente richiedono una quantità di energia notevole.

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E proprio legata all’impossibilità di supplire a questa richiesta energivora non pianificata, che si somma alle normali operazioni legate alle utenze dei cittadini e dell’industria sul territorio nazionale, che si colloca la crisi che ha costretto il governo a prendere in mano la situazione ed adottare delle misure restrittive importanti.

Andare a fondo di questa singolare faccenda richiede di orientare lo sguardo verso la Cina. Il governo di Pechino infatti si è contraddistinto in un serrata progressiva che ha portato, a partire dal mese di aprile, alla regolare estromissione di tutte le attività legate alle monete virtuali.

Come il ban della Cina alle monete virtuali ha causato la crisi energetica del Kazakistan

Criptovaluta- MeteoWeek.com
L’estrazione delle criptovalute da parte dei miners richiedere una quantità di risorse energetiche molto importanti- MeteoWeek.com

Secondo i vertici infatti queste sarebbero colpevoli di danneggiare gli equilibri del paese, attingendo dalle risorse energetiche, ma non solo. Gli si impunta, almeno di facciata, anche una certa inconsistenza e la natura effimera di questo tipo di investimenti. Di fatto, la Cina ha da sempre temuto le criptovalute poiché, a causa della loro natura volatile, non è possibile assoggettarle al regime di stato.

L’esodo dei miners cinesi ha dunque portato ad una migrazione di macchine ed investimenti, e secondo il Financial Times sarebbero  87.849 i computer da mining sarebbero stati spostati dalla Cina. E il Kazakistan è stata una delle mete preferite dove questi profughi hanno trovato asilo. Ma questo paese centroasiatico non è stato di certo recettivo nell’accogliergli, e questo gap ha portato all’attuale situazione di stallo.

Dunque i vertici stanno ora valutando come mettere un freno ad un fenomeno che danneggia pesantemente le reti domestiche e le strutture. E’ probabile chi ci si orienti per imporre restrizioni agli impianti più grandi che attingono mediamente a più di 100 megawatt.

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Intanto interviene la la Kazakhstan Electric Grid Operating Company (KEGOC) che ha annunciato l’intenzione di limitare l’energia fornita alle stazioni di mining che sono regolarmente accreditate dal Governo. Queste tuttavia sono davvero esigue, sembra solo 50 ufficiali, contro un panorama variegato e sommerso che costituisce la parte più complessa da scovare.

Infine anche il Kazakistan fa i conti con le monete virtuali, ennesimo paese che non può ignorare una fetta di economia sempre più impattante.