La sonda Juno, inviata dalla NASA per osservare da vicino il maestoso pianeta gassoso, ci restituisce informazioni preziose relative alla misteriosa macchia rossa
Il pianeta più grande del sistema solare ha sempre avuto un grande fascino per gli studiosi. Le sue caratteristiche particolari lo rendono un enorme laboratorio di teorie e ipotesi scientifiche che attraversano i secoli della storia astronomica prodotta dal punto di vista umano.
Le macchie presenti sulla sua superficie sono un esempio eclatante di come l’avvicinamento ai misteri del pachidermico gigante gassoso siano un oggetto fascinatorio molto potente. Prima di tutto per la loro presenza fenomenologia singolare. E poi, sopratutto per le loro dimensioni importanti.
La loro prima effettiva osservazione risale all’anno 1665, e si deve al contributo dell’astronomo italiano Giandomenico Cassini, identificato come primo scopritore del fenomeno.
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Dopo secoli di osservazioni e ipotesi finalmente, per mezzo dei dati raccolti dalla sonda Juno, un progetto della NASA in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) è stato possibile fare maggiore chiarezza su questo evento naturale dalla bellezza unica.
Le scoperte effettuate grazie ai dati raccolti da Juno ci permettono di sollevare il velo di mistero che avvolge le macchie rosse gioviane
Diversamente da quanto creduto fino ad oggi le macchie rosse non sarebbero altro che delle gigantesche tempeste, in puro stile giunonico, non dissimili da quelle che sperimentiamo sul nostro pianeta. Nel caso specifico però tutto è significativamente amplificato.
D’altronde su Giove i numeri hanno un peso importante. A partire dal raggio equatoriale della dimensione di 71.492 km. In proporzione quindi queste particolari aree pigmentate hanno una massa pari a circa la metà di tutta l’atmosfera terreste. In quanto a concentrazione d’acqua, gli scienziati stimano che si tratterebbe di un quantitativo pari a quello presente nel bacino del Mar Mediterraneo.
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E’ Daniele Durante, del Dipartimento di Ingegneria meccanica e aerospaziale dell’Università la Sapienza di Roma, che ci spiega più in dettaglio quello che si osserva sulla superficie atmosferica. Si tratta di un fenomeno che si presenta appunto in forma di ovale delle dimensioni stimate di circa 16000 x 12000 km. Siamo quindi davanti alla più estesa tempesta del nostro sistema solare che nel corso degli ultimi decenni ha visto una significativa riduzione le cui motivazioni sono ancora oggetto di studio.
Tuttavia, per mezzo di un passaggio orbitale molto ravvicinato da parte della sonda ad una distanza non maggiore di 4- 5000 km, è stato possibile comprendere l’estensione verticale del fenomeno. Grazie a questa prossimità, come spiegato in una ricerca coordinata da Marzia Parisi, dottoranda al California Institute of Technology/Jet Propulsion Laboratory, in collaborazione con Durante, si è stabilito che la profondità della macchia rossa non sia superiore ai 300 Km. Un dato che risulterebbe abbastanza accurato visto il debolissimo segnale gravitazionale emesso e captato da Juno.