Microsoft prende decisione drastica e chiude LinkedIn in Cina. Il servizio costretto a bloccare i profili di giornalisti e attivisti che rendevano difficile operare sulla piattaforma
Una mossa particolarmente inaspettata, ma per sincerità, senza sorpresa. Microsoft abbandona LinkedIn in Cina. Si sa che la Cina non ha molta pazienza e soprattutto è molto rigida con le regole imposte (basta pensare al nuovo regolamento che vieta i videogiochi ai ragazzi) ma sembrerebbe che questa volta sia stata quasi costretta ad intervenire. Chiude LinkedIn descrivendolo in un documento relativo a questa decisione, come un ambiente difficile in cui operare: il ritiro segna la più grande partenza dal Paese asiatico di un’importante azienda tecnologica degli ultimi anni. “LinkedIn” si legge in una nota, “ha affermato che sostituirà il suo servizio cinese con un servizio di job board privo di funzionalità di social media”. La mossa è stata decisa dopo che il servizio di proprietà di Microsoft è stato costretto a bloccare i profili di giornalisti e attivisti per i diritti umani in Cina a causa dei contenuti postati e ritenuti “proibiti”. Quindi, la Cina ha chiuso LinkedIn perchè diventato troppo invadente?
Cosa significa la chiusura di LinkedIn?
La chiusura del sito di networking professionale, che opera in Cina da febbraio 2014, avverrà entro la fine dell’anno ed è la fine, il rimasuglio ormai con i giorni contati, della rete di social media americana in grado di operare apertamente nel Paese. Ora, le cose cambieranno. LinkedIn, in una dichiarazione postata sul suo profilo fficiale, ha spiegato di aver preso la drastica decisione dopo aver “affrontato un ambiente operativo significativamente più impegnativo e maggiori requisiti di conformità in Cina”. Insomma, un secchio d’acqua da ambe due le parti. Mohak Shroff, vicepresidente esecutivo, ci ha tenuto a sottolineare che “la nostra decisione di lanciare una versione locale di LinkedIn era stata guidata dalla nostra missione di connettere i professionisti di tutto il mondo per renderli più produttivi e di successo”, rispettando i requisiti severissimi del governo di Pechino per quanto riguarda le piattaforme Internet. Tuttavia, “stiamo affrontando un ambiente operativo significativamente più impegnativo e maggiori requisiti di conformità in Cina”.
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La nuova strategia sembrerebbe quella “di concentrarci sull’aiutare i professionisti con sede in Cina a trovare lavoro in Cina e le aziende cinesi a trovare candidati di qualità. Entro la fine dell’anno, lanceremo InJobs, una nuova piattaforma di lavoro indipendente per la Cina”, ma senza usufruire di social, news o della possibilità di condividere post o articoli. Un social che non può fare quello per cui è nato. E poi “Continueremo inoltre a lavorare con le imprese cinesi per aiutarle a creare opportunità economiche”, in linea con l’impegno a creare opportunità. Anche se questa è stata “la nostra visione per quasi due decenni, sembra più importante che mai mentre tutti ci sforziamo di costruire un’economia globale che offra maggiore prosperità e progresso alle persone di tutto il mondo“, ha concluso amaramente. Insomma, la Cina è riuscita a togliere anche l’ultimo spiraglio d’umanità su internet.