Un team di ricercatori russi e americani è riuscito a riportare in vita un rotifero, animale microcellulare e microscopico rinvenuto all’interno del permafrost siberiano nord-orientale. La datazione al radiocarbonio svolta dagli scienziati riconduce l’età dell’organismo a 22mila anni fa: la loro enorme resistenza li rende molto simili ai tardigradi, inviati sulla ISS nella recente missione NASA
Quando si parla di ritornare in vita dopo l’ibernazione ci si sta riferendo ad un’ipotesi decisamente più fantascientifica che realistica. Film, serie TV e altre produzioni culturali hanno alimentato un autentico filone di fantascienza attorno alla criogenesi e alla conseguente possibilità di ibernare un essere vivente, per poi riportarlo in vita dopo un lunghissimo periodo.
A livello scientifico la tematica è ancora oggi estremamente dibattuta, ma nelle scorse ore la pubblicazione di un nuovo studio potrebbe gettare nuova luce sulla conservazione della vita tramite ibernazione: è il caso dei rotiferi, animali microscopici che si sono conservati nel permafrost.
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Il ritorno in vita del rotifero, dopo un’ibernazione di 22mila anni
Nei giorni scorsi un team di ricercatori russi e americani ha portato a termine un importante studio, pubblicato sul portale Current Biology, tramite il quale è stato possibile riportare in vita un rotifero Bdelloideo di 22mila anni fa.
L’animale è uno pseudocelomato microscopico e microcellulare, delle dimensioni comprese tra 0.1 e 0.5 millimetri, ed è stato recuperato nel permafrost siberiano nord-orientale. La datazione al radiocarbonio condotta dagli scienziati ha permesso di risalire alla sua “età”, pari appunto a 22mila anni. Per poter raccogliere l’esemplare di rotifero è stato necessario perforare per tre metri e mezzo lo strato di permafrost.
I rotiferi possiedono delle caratteristiche molto particolari, che li rendono resistenti a condizioni ambientali estreme, in modo molto simile a quanto accade ai tardigradi (inviati sulla Stazione Spaziale Internazionale da qualche giorno nell’ambito di una importante ricerca NASA). Tra le loro caratteristiche peculiari ne spicca una in particolare, vale a dire la capacità di sopravvivere disidratati per anni; inoltre, fino ad oggi sono riusciti a sopravvivere senza rimescolamento dei geni e le variazioni del DNA che tipicamente avvengono con la riproduzione sessuata.
Il parere della comunità scientifica
La scoperta ha del sensazionale, dato che fino ad oggi le conoscenze sui rotiferi erano limitate ad una loro presunta sopravvivenza in ibernazione soltanto per una decina di anni. La comunità scientifica si è definita da più parti estremamente soddisfatta del nuovo traguardo raggiunto, che potrebbe spalancare le porte a nuovi orizzonti per la biologia molecolare.
Un importante parere proviene da Mario Ventura, del Dipartimento di Biologia del Campus Universitario di Bari: “Questo studio ha dimostrato che la vita non solo può essere conservata in ghiaccio, ma può riprendere dal ghiaccio dopo 22mila anni. […] Dal punto di vista evolutivo poter recuperare e studiare il genoma di specie cosi evolutivamente distanti e apparentemente “scomparse” permette di scoprire e studiare meccanismi biologici conservati nel tempo e fondamentali per la vita, compresa quella dell’uomo”.
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In merito si è espresso anche Stas Malavin, co-autore della ricerca e scienziato dell’Istituto russo di biologia chimico-fisica della scienza del suolo: “Abbiamo ora accertato che il rotifero Bdelloide può resistere a decine di migliaia di anni di criptobiosi, cioè in uno stato di vita ametabolico. I rotiferi Bdelloid sono tutt’intorno a noi, su fili umidi di muschio o nelle pozzanghere, e attraverso corsi d’acqua dolce che abbracciano regioni artiche e tropicali”.