Con spostamento dei centri decisionali fuori i confini italiani, aumenta il rischio di mani estere su asset italiani.
La congiuntura economica determinata dall’emergenza Covid-19 ha “reso più concreto il pericolo che attori esteri, favoriti anche dall’accesso a forme di finanziamento con finalità extraeconomiche, si ponessero quali acquirenti di asset pregiati in Italia, con prospettive di spostamento dei centri decisionali e produttivi al di fuori dei nostri confini e/o di perdita di know how, a detrimento della competitività del tessuto economico nazionale”.
Lo evidenzia la Relazione annuale dell’Intelligence pubblicata l’1 marzo 2021.
Un altro pericolo che si aggiunge alla lista infinita di cose che potrebbero o che sono andate storte dall’inizio della pandemia a marzo 2020.
Ma a che punto siamo?
Mentre a livello globale si contano più di 114 milioni di contagi di coronavirus, gli Stati Uniti – primi al mondo per numero totale di casi e vittime – sono ancora il Paese che ha registrato il numero maggiore di nuove infezioni di Covid-19 in 24 ore. In Europa, preoccupano la Francia e la Polonia. L’Italia è quarta. È quanto emerge dai dati dell’Oms aggiornati al 28 febbraio.
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Si sono incontrati Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo economico, e Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria, l’associazione di categoria che riunisce le principali imprese farmaceutiche che operano in Italia, oltre a Giorgio Palù, presidente dell’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) e al commissario straordinario Domenico Arcuri.
L’idea, raccontata dallo stesso Scaccabarozzi in numerose interviste precedenti all’incontro, è di avviare la produzione di vaccini già autorizzati, su licenza delle aziende che detengono i brevetti, in stabilimenti sul territorio italiano.
Questi stabilimenti dovrebbero appartenere ad aziende che hanno già la tecnologia necessaria per avviare la produzione in tempi ragionevoli, o che comunque siano in grado di riconvertire i processi industriali in poco tempo.
Dopo l’incontro le parti hanno annunciato nuove riunioni nelle prossime settimane per individuare “tutte le componenti produttive compatibili con la realizzazione di vaccini e in un orizzonte temporale congruo con le esigenze del Paese“.
Il governo ha offerto “la totale disponibilità di strumenti normativi e finanziari”.
Gli esperti e molte aziende sono concordi nel dire che l’Italia abbia la tecnologia e la capacità industriale per contribuire in maniera consistente soltanto ad alcune fasi della produzione di un vaccino contro il coronavirus, indipendentemente dal tipo.
La prima fase di produzione dei vaccini è difficile da realizzare in Italia perché mancano macchinari e infrastrutture.
In particolare, mancano i cosiddetti bioreattori, cioè i contenitori necessari per la produzione delle sostanze che inducono una certa risposta immunitaria. Le aziende farmaceutiche che ne hanno installati in Italia sono poche, e praticamente nessuna ne ha di adatti alla produzione di un vaccino contro il coronavirus.
In generale, tutte le aziende farmaceutiche interpellate hanno spiegato che avviare una nuova produzione di vaccini su licenza di un’altra azienda è piuttosto complicato, perché le tecnologie non sono quasi mai compatibili e sarebbero necessari lunghi mesi di riadattamento e riconversione, in quello che talvolta viene chiamato trasferimento tecnologico. Questo senza considerare il fatto che gli impianti sono già impegnati in altri tipi di produzione.
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