Eugene Kaspersky profetizza la fine dell’Europa nella cyberguerra. Le parole dell’ex ingegnere.
Con il paesaggio innevato della fredda Russia, appare in videoconferenza Eugene Kaspersky, 55 anni di cui la maggior parte passate nel mondo dei forti della cybersicurezza, sorride mentre si siede vicino a un sistema di telecamere con radar lidar per intercettare eventuali intrusioni di droni nelle vicinanze.
Niente è dato per scontato quando si tratta della sicurezza.
Montato su un treppiede, il dispositivo serve per mantenere l’immagine precisa durante la videocall che consiste in una intervista all’ex ingegnere, che ha idee ben precise sul futuro che ci aspetta, in tema di sicurezza ovviamente.
“Ne abbiamo uno identico sul tetto di questo edificio”, racconta Kaspersky.
“Lo stiamo testando. E’ in grado di introdursi nelle trasmissioni per prendere il controllo del drone e se non ci riesce ne blocca trasmissioni e sensori. Ormai occuparsi di sicurezza digitale non significa più sviluppare solo antivirus, ma anche proteggere edifici o creare piattaforme per le elezioni online. Viviamo in un’era di relazioni e apparecchi collegati ed è un aspetto che riguarda tutti. Si va dalla sfera personale a quella delle aziende, passando per gli Stati fino ad arrivare al mondo intero”.
Ha iniziato subito con il botto, orgoglioso dell’anteprima che ha potuto rilasciare.
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Le parole di Kaspersky sono profetiche?
Da poco Eugene ha partecipato ad un seminario sulla cyber sicurezza in Europa, The new EU Cybersecurity Strategy and its impact on Member States and industry.
C’erano fra gli altri Lorena Boix Alonso, direttrice di Digital Society, Trust & Cybersecurity presso la Dg Connect della Commissione Europea e Guillaume Poupard, a capo dell’agenzia nazionale francese per la sicurezza dei sistemi d’informazione (Anssi).
Un’impressione data a caldo da Kaspersky è proprio quella della mancanza di ingegneri in Europa, nonostante un programma così ben fornito. Una sorta di supremazia russa?
Forse.
“Cina e Russia sfornano personale tecnico dalle università a ciclo continuo.” continua Eugene ” L’Europa ha capito bene l’importanza dei dati e della cybersicurezza, e ha strategie per il futuro brillanti, ma non ha chi le metterà in pratica. Non ci sono abbastanza ingegneri e informatici e si tratta di materie che non si possono certo affidare a personale che viene dall’esterno. Troppi pochi laureati per difendere il cuore digitale dell’Unione. Ed è un problema visto quel che sta accadendo”.
Kaspersky sa cosa dice: passa molto tempo in Cina, paese nativo della moglie, ed è un ammiratore dei muri digitali che il paese ha innalzato.
Con una qualsiasi vpn (virtual private network, ndr) e con pochi click si naviga fuori dai confini cinesi.
“Non penso comunque che sarà quello il modello dominante, al contrario mi sembra più probabile che in diverse aree i dati prodotti per legge dovranno restare in server locali e sottoposti alle regole per il trattamento dei dati locali. Questo non significherà un Web con delle frontiere ma un Web sottoposto a molte più restrizioni. E’ una conseguenza della situazione geopolitica attuale dominata dalla diffidenza fra i vari Paesi”.
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Una cyberguerra che non vincerà l’Europa
Una balcanizzazione della Rete, come la descrive lui, con una divisione fra aree diverse.
E’ questo i punto di forza che si andrà a ricreare.
Tutti hanno capito che i dati, in ogni loro forma, sono fondamentali e lo è anche il controllo della raccolta di queste informazioni.
“L’avvento delle reti 5G aumenterà in maniera esponenziale la loro quantità. Di sovranità digitale non a caso si parla qui in Russia come in Europa. Penso che in cinque anni avremo un mondo sempre connesso ma molto più difeso”.
Fra i gruppi più pericolosi di criminali ci sono quelli di lingua cinese, spagnola e portoghese, russa, turca e inglese, parlato spesso molto male. Dal punto di vista delle nazioni invece le più abili sono quelle dell’area atlantica, la Russia, l’Est Europa e la Cina.
Per una cybersicurezza ad effetto, senza contare la questione budget, bisogna studiare per le strutture e le infrastrutture critiche degli apparati digitali che si basano su sistemi operativi e software differenti da quelli di oggi, che affondano le radici in anni nei quali il cyber terrorismo o la cyber guerra non esistevano.
E’ impossibile difenderli al cento per cento.
Di qui il concetto di “cyber immunità”, una serie di apparecchi che si basano su tecnologie del tutto nuove studiate per essere inattaccabili.
E che andrebbero impiegate gradualmente nei settori nevralgici di una nazione come i trasporti, gli ospedali, le centrali elettriche e gli impianti idrici.
Mettiamo caso di un attacco: se un’azienda viene attaccata e l’attacco va a buon fine, subirà un danno economico. A un individuo possono essere rubati i suoi dati, compresi quelli della carta di credito.
Ma se si riesce a bloccare una o più centrali elettriche si mette in ginocchio un Paese con danni incalcolabili. Per questo bisogna partire da lì e per questo noi abbiamo sviluppato l’Os Immune per Internet delle cose, e sono pronto a pagare un milione di euro a chiunque trovi una vulnerabilità.
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Un bando per le armi cyber
Fu proposto a novembre del 2011, dieci anni fa, alla London Cyberspace Conference.
Come ricorda Kaspersky “C’erano rappresentanti di molte nazioni con ministri e viceministri. Sembrò l’inizio di una nuova epoca. E invece non successe nulla in seguito. Anzi, molte collaborazioni fra diverse nazioni in fatto di cybercrimine sono cessate dopo il 2015. Se un attacco negli Stati Uniti o in Europa viene dalla Russia o dalla Cina, non ci sarà nessuna investigazione congiunta come accadeva tempo fa. Questo è il mondo nel quale viviamo oggi.”