Il progetto di mappatura degli oceani per prevenire gli tsunami e conoscere i cambiamenti

Solo il 5% dei fondali oceanici è stato mappato. Ora il progetto Seabed 2030 si ripromette di colmare la mancanza entro dieci anni. Ecco come.

Mappatura grazie a Seabed 2030 – MeteoWeek.com

Circa il 70% della superficie del pianeta è coperta dagli oceani, eppure sappiamo ben poco di come è il fondo oceanico se lo confrontiamo con quello che sappiamo dei continenti o anche con le superfici della Luna, di Venere o di Marte.

Questa ignoranza è in parte dovuta alla difficoltà di ottenere dati viste le grandi profondità, oltre alla vasta estensione. Questo è il motivo per cui le nuove tecnologie sono un grande alleato in questo compito, ed i veicoli autonomi sono gli strumenti principali per svolgere questa mappatura.

Nel 2017 la fondazione giapponese Nippon e l’organizzazione intergovernativa General Bathymetric Chart of the Ocean (GEBCO) hanno lanciato Seabed 2030, un progetto finalizzato alla mappatura dell’intero fondale marino del nostro pianeta entro il 2030. A quell’epoca solo il 6% degli oceani era stato mappato secondo gli standard moderni, mentre ora a distanza di tre anni è stato attestato che la superficie coperta si aggiri intorno al 19%.

Seabed 2030 si ripropone di mappare e creare una cartografia ad alta risoluzione di tutti i fondali marini del mondo entro dieci anni.

Al termine del lavoro tra dieci anni, la mappa degli oceani sarà resa pubblica e messa a disposizione di tutti, diventando una sorta di Google Earth sui generis. Il progetto è stato lanciato alla Conferenza oceanica delle Nazioni Unite nel giugno 2017 ed è allineato con l’obiettivo di sviluppo sostenibile dell’ONU per la conservazione e lo sfruttamento sostenibile degli oceani e delle risorse marine. L’oceano è sinonimo di ricchezza e risorse, ma queste sono minacciate dai cambiamenti che il pianeta subisce a causa di azioni umane come sfruttamento eccessivo, inquinamento e cambiamenti climatici.

From Vision to Action

Mappatura dei fondali marini – MeteoWeek.com

E’ questo il motto di Seabed 2030.

Grazie al suo completamento si avrà a disposizione un modo per capire meglio l’oceano e i suoi processi fondamentali, come il trasporto di sedimenti, l’innalzamento del livello del mare, la formazione degli tsunami e, in questo modo, sarà più agevole intraprendere ricerche scientifiche, utilizzare le sostenibilità degli oceani e ponderare decisioni politiche.

Dal punto di vista pratico, per realizzare questo progetto sono stati utilizzati degli ecoscandagli multibeam, la tecnologia montata sotto gli scafi delle imbarcazioni che permette di conoscere l’aspetto del fondale marino tramite l’emissione di impulsi sonori, in grado, inoltre, di determinare la profondità grazie al calcolo della quantità di tempo necessaria che impiega l’onda sonora per rimbalzare sul fondo marino e tornare in superficie.


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Jamie McMichael-Phillips, il direttore del progetto, ha dichiarato che con il sostegno di governi, industrie, università e filantropia, e utilizzando tecnologie innovative, è previsto che la disponibilità di nuovi dati, consultabili pubblicamente, crescerà su base annuale e che in virtù della grande importanza delle collaborazioni in questo progetto, Seabed 2030 continuerà a cercare nuove partnership e novità in fatto di tecnologie da utilizzare.

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